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L’Universo Sulla Pelle

Nuestro disco, L’universo sulla pelle, ganador de los premios Carles Santos 2019 en la categoría de mejor disco de recuperación de patrimonio musical.
¡Muchas gracias de parte de todo el equipo!


Arias, madrigales y cantatas del seicento

La música del Seicento sirve de lienzo y como forma de expresión amorosa. La armonía queda al servicio de la palabra que reflexiona sobre el amor en sus diferentes estados: el amor sutil e ingenuo, el amor profundo, el amor eterno, la pasión, el temor de la separación que con el tiempo derivará en hacer palpable el dolor de la ausencia, la memoria del cuerpo.

Giovanni Felice Sances, Giovanni Battista da Gagliano y Giovanni Paolo Colonna comparten programa con compositores más célebres como Girolamo Frescobaldi, Stefano Landi, Giovanni Girolamo Kapsberger, la compositora Bárbara Strozzi y Benedetto Ferrari. Se trata de una recopilación de obras del primer barroco italiano a una y dos voces. Arias, madrigales y cantatas poco conocidas, algunas nunca antes registradas y sin embargo, repertorio de una alta calidad compositiva.

Una música de gran teatralidad que a través de las inflexiones vocales expresa toda la emoción contenida en el discurs. De este modo los compositores del siglo XVII pretenden introducirnos en el mundo de los sentimientos y las sensaciones. Música que toca los sentidos y la piel a través de la monodía acompañada; voces e instrumentos cuyo acompañamiento se supedita totalmente a la poesía, esencia y fundamento de la “seconda pratica”.


Programa

A CHE PIÙ L’ARCO TENDERE Stefano Landi (1586 – 1639)
Amor… sommergemi, confondemi… Amor

FELICI GL’ANIMI Giovanni Girolamo Kapsberger (1580 – 1651)
O piacer stabile, O povertad’ amabile

TORNI AL LIDO IL NOCCHIERO Benedetto Ferrari (1603 – 1681)
Non paventa de turbin ne procelle e i naviganti suoi guida a le stelle

L’AMANTE SEGRETO Barbara Strozzi (1619 – 1677)
Voglio morire

SE TU SEI BELLA Giovanni Battista da Gagliano (1594 – 1651)
…ama chi t’ama! …e sol adorati

CHI NEL REGNO ALMO D’AMORE Giovanni Felice Sances (1600 -1679)
Molte n’ami, ma non molto

BEGLI OCCHI IO NON PROVO Girolamo Frescobaldi (1583 – 1643)
Fierezza o dolore… nel regno d’Amore

PARTO, O BELLA Giovanni Paolo Colonna (1637-1695)
Perchè legge è d’Amore, ch’altrove habbia il soggiorno e quivi, e quivi il core

SOCORRETEMI, PER PIETÀ Anònim
Soccorretemi per pietà, ochi belli, io qui mi moro


INTÉRPRETES

Èlia Casanova, soprano
Adriana Mayer,mezzosoprano
Laura Salinas, viola de gamba
Fernando Serrano, tiorba
Ramiro Morales, archilaud
Jesús Sánchez, guitarra barroca
Daniel Bernaza, cornetto, cornetto muto y flautas

EQUIPO TÉCNICO

Baúl de Fotos Audiovisual
Victor Sordo Ingeniero de sonido
Little Canyon studio Mezcla y masterización
Pili Xip Disseño gráfico
Amparo Navarro Fotografía
Sonia Gil Coordinación
Mónica de Quesada Producción ejecutiva


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Media


Letras y partituras


Torni al lido il nocchiero,
che l'amoroso arciero,
d'una nave provede,
à cui l'onda obedisce e il vento cede,
non paventa ne turbin ne procelle
e i naviganti suoi guida a le stelle.

O felice il Tirenno
che regger nel bel seno
si gentil nave suole,
c'hà Palinuro il cielo, e Tisi il Sole.
Vorrei per riverire ogni suo giro
disfarmi in pianto? struggermi in sospiro.

Nave si bella e pura,
ammira la natura
per portar il bel pondo,
tra i diluvi tornar vorrebbe il mondo,
se tal nave varcasse l'Archeronte
fora un ciel stig'e un angelo Caronte.


Se tu sei bella
più d’Amarillide,
non sia rubella
d’Amor, mia Fillide,
pietad’ei brama,
ama chi t’ama!

Ama quel core
che sol onorati
d’ogni altro amore
e sol adorati,
ch’ogn’altra sprezza
vaga bellezza.

Chi nel Regno almo d'Amore
brama l'ore trar serene fior di pene,
d'una sol'amante stolto
non si chiami molte n'ami,
molte n'ami, ma non molto.

Ma se scorge che tu scaltro
tosto ad altro amabil volto sarai volto:
Non si monstra piu serena ma pietosa
amorosa lusinghiera.

Socorretemi per pietà
ochi belli, io qui mi moro.
Seda voi non mi si dà
uno sguardo per ristoro.

(Cintio) Parto, o bella, crudo ciel mi vuol lontano,
Rio destin, fato inhumano sì m’aresta la mia fé.
Vado, o cara, mi ti toglie acerbo il fato,
crudo ciel, destino ingrato
si ma il cor resta con te.
(Clori) Ah Dio perchè? Rio destin, fato inhumano.
Eh dove, oh ciel? Crudo ciel destino ingrato.

(Cintio) Perchè legge è d’Amore,
ch’altrove habbia il soggiorno
e quivi, e quivi il core.

(Cintio) Partirò si, sí mio bene, ma il mio cor qui resterà.
e dai lampi della spene in Amore i giorni havrà.
(Clori) Resterò ma più costante per amar quest’alma havrò,
e a seguir tuo piede errante l’ali al cor impennerò.

Ah, di barbara sorte acerbo vanto:
(Cintio) Io parto al duolo e tu qui resti al pianto.
(Clori) Tu parti al duolo et io qui resto al pianto.

Voglio, voglio morire,
piuttosto ch'il mio mal venga a scoprire.
Oh, disgrazia fatale!
Quanto più miran gl'occhi il suo bel volto
più tien la bocca il mio desir sepolto;
chi rimedio non ha taccia il suo male.
Non resti di mirar chi non ha sorte,
né può da sì bel ciel venir la morte.

La bella donna mia sovente miro
ed ella a me volge pietoso il guardo,
quasi che voglia dire:
"Palesa il tuo martire"
ché ben s'accorge che mi struggo e ardo.
Ma io voglio morire
piuttosto ch'il mio mal venga a scoprire.

L'erbetta, ch'al cader di fredda brina
languida il capo inchina,
all'apparir del sole
lieta verdeggia più di quel che suole:
tal io, s'alcun timor mi gela il core,
all'apparir di lei prendo vigore.
Ma io voglio morire
piuttosto ch'il mio mal venga a scoprire.

Deh, getta l'arco poderoso e l'armi,
Amor, e lascia omai di saettarmi!
Se non per amor mio
fallo per onor tuo, superbo dio,
perché gloria non è d'un guerrier forte
uccider un che sta vicino a morte.

A che più l'arco tendere
O non mai saggio Amor?
Di me che più vuoi prendere,
Non sei tu sazio ancor?
Mira che folte fioccano
Le nev'in su'l mio crin,
E che miei giorni toccano
Homai l'ultimo fin.

Deh! Perché non rinovasi
Mia giovenil età,
Hoggi che al mondo trovasi
I fior della beltà?
Quale può maga porgere
Aita ai miei desir?
Ond'io vegga risorgere
Mio giorno in su'l finir.

Dunque ò gentil degnatemi,
che tutto altier n'andrò;
Vostro a nome chiamatemi,
Ma vostr'amante, no.
Gli amanti arsi sospiranvi
Chiedendo alta mercè:
Gli occhi miei solo miranvi,
E basta alla lor fè.

Amor che da té bramasi
ch'avvampi un cuor di giel.
Si fatta brama chiamasi
pugnar in contro al Ciel.
Più da tè non rubellomi
amor il fai ben tú:
Anzi tuo servo appellomi
ma fuor di gioventù.

Che parlo? Chi rispondermi?
Ah! Che non scerno il ver!
Sommergemi, confondemi
Tempesta di pensier;
Condannomi, perdonomi
Fra speme e fra timor;
Ma pur tutto abandonomi
Nelle tue mani Amor.

Son tanto ito cercando
che pur alfin trovai
colei che desiai duramente penando,
Oh questa volta sì ch'io non m'inganno,
s'io non godo mio danno!

Son tali quei contenti
che pur alfin io provo
che tutto mi rinovo
doppo lunghi tormenti.
Ma tutti com'io fo far non sapranno
chi non gode suo danno.
  Begli occhi io non provo Fierezza, ò dolore, Io pianti non trovo Nel regno d’amore, Qualor mi mirate Con sguardi amorosi scherzate vezzosi. Voi labbra ridenti, Quest’alma beate. Sì cari gli accenti, Sì dolci formate, Se i denti scoprite Con rare bellezze Nutrite dolcezze. Ma lasso, io pavento, Che un ciel bello e puro Al soffio d’un vento Si cangi in oscuro, Quell’aura che spira, Quel guardo che alletta S’adira e saetta.  

Felici gl'animi
che greggie guidano
ne cure sanimi
nel petto annidano
di se piacevoli
i giorni menano
e dilettevoli
i cor serenano.
O piacer stabile,
O povertad'amabile.

Del duo' si ridono
il sen tranquillano,
le noi ancidano
d'ardor sfavillano
ch'aler vaghissimo
il cielo indorasi,
ch'alor bellissimo
il prato i fiorasi.

Qui nembi horribili
non si raggirano
ne crudi sibili
i venti spirano
ma nudre l'aria
d'odori nobile
ne' scherzi varia
april' immobile

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